La Cappella di S. Acazio
La chiesa di S. Acazio sorse nel 1471, parallela a S. Ilario (attuale presbiterio). Oggi è parte integrante della Cattedrale, in fondo alla navata destra, introdotta da un arco con la scritta dorata “Domus Dei et porta coeli”.
Nella volta a stella con quattro punte combinata ad una volta a crociera con al centro lo stemma dei Graben si trovano gli affreschi carinziani raffiguranti gli Evangelisti ed angeli con i simboli della passione e strumenti musicali, della seconda metà del ’400.
Dello stesso periodo sono i peducci alla base degli archi: sul primo a destra sono scolpiti i Santi Vescovi Ilario, Ermagora e Nicolò; il peduccio a sinistra è in pietra senza figure; l’altro a destra raffigura tre sante tra cui Caterina e Anna, e quello a sinistra la scena del peccato originale, con il serpente dal volto umano attorno all’albero accanto ad Adamo ed Eva.
La cappella accoglie un fonte battesimale e l’altare del 1342 con marmi policromi e colonne tortili, con la tela di metà ‘800 di Sant’Anna con Maria bambina, di A. Strata.
La seconda campata della cappella, con lo stemma dell’arcivescovo F.B. Sedej, fu aggiunta nel 1906 e dipinta da H. Viertelberger con temi vegetali ispirati a modelli del ’400. Nelle pareti sono murate pietre tombali del XVI-XVII secolo.
Da questa cappella si accede alla cripta degli Arcivescovi di Gorizia.
Sant’Ilario
Colpisce un po’ la rarità della dedicazione dell’attuale Duomo a S. Ilario (e al suo diacono Taziano), mentre altre dedicazioni di chiese di Gorizia erano più consuete: ad esempio S. Marco, S. Caterina, S. Maria (per l’ospedale, risalemte al 1382), S. Michele (nell’area cimiteriale), S. Nicolò (Congregazione dei Nobili), S. Sebastiano…
Sant’llario era uno dei primi Vescovi e martiri aquileiesi, secondo soltanto a S. Ermagora. La dedicazione a tale figura era perciò un titolo prestigioso, frutto di una scelta oculata. Questo, assieme alla centralità dell’edificio di culto, collocato subito al di sotto della città alta ed accanto agli edifici di “governo”, favorirono la crescita della sua importanza, tanto che divenne sede parrocchiale e perno funzionale e simbolo religioso ma anche civico per tutta la città, almeno finché non nacque un’altra parrocchia, il che avvenne appena nel 1785 con la nascita della chesa di S. Ignazio.
Alla rappresentatività dell’edificio si deve anche la collocazione del cenotafio raffigurante l’ultimo conte di Gorizia, Leonardo, che morì a Lienz il 12 aprile 1500. I conti avevano infatti quale mausoleo l’abbazia di Rosazzo, la parrocchiale di Dobbiaco e infine la parrocchiale di Lienz, concapitale della contea. In realtà la lapide del Duomo custodiva le spoglie della consorte di Leonardo, Paola Gonzaga, scomparsa nel 1497, mentre il conte è sepolto a Lienz con una lapide che ricorda quella goriziana.
La città « alta » alla metà del ’400
«Sul lato meridionale dell’antica piazza del Comune, ove dal 1210 si teneva il mercato settimanale, dietro il modesto edificio con la loggia che serviva da «curia civile» o «domus communitatis» (… ), si stendeva un terreno di proprietà ecclesiastica, chiuso probabilmente da un muretto o da una palizzata, al quale si accedeva per una strada fiancheggiante la casa del Comune (l’attuale sottopassaggio del palazzo occupato dalla Questura).
Questo terreno, circondato in seguito da case e cappelle, prese il nome di Corte S. Ilario dall’antichissima cappella che vi sorgeva» (I.Valdemarin, 1958).
Fino alla metà del ’400 la città «alta», sul colle da cui aveva preso il nome Gorizia, raccoglieva le abitazioni per lo più della nobiltà e aveva ottenuto almeno fin dal 1307 i diritti cittadini: colà nel 1398 fu innalzata la chiesa di S.Spirito, per non dover dipendere in tutto dalla chiesa parrocchiale di Salcano.
Nasce la parrocchia
L’istituzione della parrocchia dei Santi Ilario e Taziano corrisponde ai tempi in cui il conte Giovanni II estese i privilegi di città alla villa inferiore. Nello stesso 1455 fu approvato lo statuto della confraternita di pellicciai, sarti e calzolai. Poco dopo si aggiunsero altari a una chiesa da poco rinnovata: S. Maria Maddalena (dei Prodolone), S. Maria (Torriani), S. Sebastiano (Orzone). Primo parroco dovrebbe essere stato Nicolò Pace, a cui successe Andrea Posch tra il 1485 e il 1486. A Gorizia, nella villa inferiore, all’interno dell’attuale piazza S. Antonio, fin dall’altomedioevo sorgeva una chiesetta dedicata probabilmente a S. Maria o a S. Marco, a cui nel ’300 si aggiunse una cappella di S. Caterina (forse al tempo della contessa Caterina, prima moglie di Mainardo VII, morto nel 1365), successivamente compresa nell’area francescana.
Le prime cappelle
Nello spazio occupato dal Duomo attuale e al di là del cimitero che lo fiancheggiava, dove si precisò il sagrato o Corte S. Ilario, andò formandosi una vera costellazione di edifici di culto, tra i quali aveva maggior importanza quello dedicato a S. Ilario.
Di questo non si può fissare con certezza la data della costruzione ma si sa che esisteva nel 1314 (G. Coronini, 1973) e che nel 1342 il patriarca Bertrando di S. Genesio concesse al conte Alberto IV di costruirvi un nuovo altare a cui veniva annesso un beneficio.
Una radicata abitudine vuole vedere nella cappella di S. Acacio la chiesa più antica già dedicata a S. Ilario: la cosa è improbabile sia perché è difficile che si cambino le dedicazioni, sia perché la cappella di S. Acacio ha i caratteri della fine del ’400.
Si deve pensare perciò che almeno dal primo ’300 ci fosse una chiesa al posto del presbiterio attuale. A questa si era affiancata nel 1365, sporgendosi verso N, la cappella di S. Anna: l’orientamento di questa cappella era del tutto anomalo; oggi è parallela al presbiterio: dapprima (1756) fu trasformata per accogliere le reliquie aquileiesi e poi ne fu abbattuta l’abside antica per facilitare il traffico sull’attuale via Marconi (1866).
Il tesoro
La chiesa disponeva già d’un suo tesoro, di cui rimangono parti significative di grande valore cultuale e artistico: tre busti lignei dorati, che riprendono i modelli di reliquiari in metallo prezioso e che rappresentano Ilario e Taziano ma anche Stefano, a cui era intitolata la parrocchiale di Salcano.
Risalgono ugualmente alla fine del ’400 due teche-reliquiari, l’una con una Crocifissione tra santi e l’altra con S. Andrea che ricalca una xilografia di Martin Schongauer e che echeggia il santo patrono di Lienz.
Elementi dell’architettura goriziana del tempo
La chiesetta di S. Acacio presenta elementi che autorizzano a vedervi un’espressione dell’architettura tardomedievale goriziana (Górzer Bauhǘtte), ben rappresentata specialmente nel Tirolo orientale tra ’400 e primo ’500 (R. Peskar, 1999). C’era stato un bel precedente in terra goriziana a Canale (1431) e la stessa chiesa di S. Ilario fu profondamente trasformata secondo quei modelli nel 1526, quando al presbiterio gotico si aggiunse una navata al di qua dell’arco santo che nei profili e nei due capitelli superstiti rispetta quegli schemi pur in un’età alquanto inoltrata: la data (non il 1525) si legge tuttora in un contrafforte verso SE.
La struttura gotica del presbiterio si conservò anche nei radicali rifacimenti barocchi che interessarono la navata centrale e le due nuove laterali (1702). Non poche chiese del Goriziano hanno «sopportato» il mantenimento d’un presbiterio gotico in una struttura più tarda, frequentemente barocca: Canale, Gargaro, Vipacco, S. Daniele del Carso e così via.
Nella volta della cappella di S. Acacio sussistono affreschi indubbiamente carinziani che ricordano negli angeli musicanti l’uso di particolari strumenti musicali (A. Arbo, 1998). A questo proposito, si ha notizia di musicisti e di organisti della chiesa di S. Ilario fin dal 1538: J. Hofhaimer aveva a disposizione un organo (1544); gli sarebbero succeduti vari altri musicisti, anche come maestri della gioventù, tra cui un Michele, un Giacomo Oberpurger, il noto Giorgio Maniero e inoltre Nicolò Vicentino, G. B. Galeno e i fratelli Sagabria.
Le confraternite e i pievani
Facevano riferimento alla parrocchia anche le confraternite, che avevano caratteri e funzioni corporative, associative e assistenziali (L. Tavano, 1983): tra le più antiche si ricordano quelle di S. Maria (1382), degli artesani (S. Ilario, 1455), del Ss. Sacramento (eretta dal parroco Andrea Posch, 1486-1498). Nel 1588 ne risultano altre, tra cui quelle di S. Lucia, di S. Rocco e di S. Francesco.
Tra i principali pievani del ’500 si succedettero, dopo Leonardo von Graben (1527), Gerolamo Catta (1562), che poi dal 1574 sarebbe stato il primo arcidiacono di Gorizia, Mattia Morcina (1562-1574) e Giovanni Tautscher (1574-1588), arcidiacono dal 1577 e poi vescovo di Lubiana (1580); con varie controversie seguirono quindi Andrea Nepokaj (1580-1596) e Giovanni M. Panizzolo (1596-1602).
Quel secolo vide inserirsi anche a Gorizia la riforma luterana specialmente per effetto della predicazione di Primoz Trubar, la cui parola fu ascoltata nel 1563 in tedesco, sloveno e italiano. Egli aveva il favore di molti nobili goriziani.
Dopo la visita apostolica di Bartolomeo de Porcia (1570) è notevole la visita del vescovo di Lubiana Konrad Glusic che nel 1574 parlò a nobili e borghesi riuniti nella parrocchiale invitandoli ad abbandonare il luteranesimo.
Dopo la morte dell’ultimo conte di Gorizia Leonardo
Dalla morte dell’ultimo conte, Leonardo, la contea di Gorizia faceva parte dei possessi degli Absburgo, ai quali si aggiunse nel 1521 anche Aquileia, dove dunque non giunse più l’azione diretta dei patriarchi.
Alla cura pastorale del Goriziano si provvide anche con l’istituzione d’un arcidiaconato raggiunta a seguito delle trattative tra Bartolomeo Porcia e l’arciduca Carlo: si discusse invano per la restituzione di Aquileia al patriarca e si presero provvedimenti per contrastare il luteranesimo.
II primo arcidiacono, quasi vicario generale del patriarca (l’istituzione fu accettata dal patriarca Giovanni Grimani il 21 dicembre 1574), fu Gerolamo Catta, parroco di S. Pietro. Successivamente (1593) Francesco Barbaro, già designato successore del patriarca Grimani, visitò la contea, ma il luteranesimo era già in forte declino e la vita cristiana si stava rinnovando.
Era nelle speranze fin da allora che l’arcidiaconato fosse l’antefatto dell’istituzione d’una diocesi goriziana per le terre della diocesi patriarcale di Aquileia che si trovavano nell’impero.
La situazione pastorale e religiosa
Attraverso le visite di quegli anni (1588, 1590, 1593) si hanno informazioni sulla chiesa di S. Ilario, il cui patronato spettava agli arciduchi in quanto eredi dei conti; per il medesimo motivo l’arciduca Carlo esercitava i suoi diritti su S. Anna, S. Acacio e S. Nicolò. In città e cioè nell’ambito della parrocchia c’erano inoltre le chiese di S. Spirito e di S. Martino (nel borgo del castello o nel castello stesso), di S. Maria, di S. Rocco, di S. Andrea, di S. Giovanni Battista (voluta da Vito di Dornberg nel 1587).
Esercitavano i loro compiti tredici cappellani, in comune con Salcano. La città aveva allora circa duemila case e settemila abitanti, per cui si cominciò a sentire l’esigenza d’un edificio di culto più grande per il quale si intervenne alla fine del ’600.
La pianta di G. Vintana (1583) fornisce una chiara immagine della città d’allora e della chiesa di S. Ilario: questa mostra una corona di contrafforti attorno all’abside, quattro robusti sostegni per la cantoria, la cappella di S. Anna sporgente verso NNO e, all’esterno, verso SO, un edificio a pianta centrale, verosimilmente S. Michele per la Confraternita del Suffragio.
La chiesa parrocchiale alla fine del 1500
La chiesa era dotata di nove altari: l’altare maggiore fu consacrato dal coadiutore patriarcale Francesco Barbaro il 19 maggio 1593, mentre gli altri altari erano dedicati ai Santi Anna, Acacio, Maria Maddalena (Rabatta), alla Beata Vergine del Buon Consiglio o Ausiliatrice, a Fabiano e Sebastiano (Orzone), alla Trinità (de Castro), alla Croce (Torriani) e al Corpus Domini (Confraternita del Sacramento).
Mentre il conte Leonardo è ricordato nel Duomo soltanto con il cenotafio, nel ’S00 molte famiglie dei nobili goriziani scelsero la parrocchiale per la loro sepoltura: tra di essi Rassauer, Orzone, Formentini, Terzi, Antonelli e poi Bosizio, Coronini, Fornasari, Gibelli, Pace, Pollini, Saitz, Sembler, Studeniz. Poi fu preferita la chiesa di S. Francesco.
Salcano e la data del 1001
Salcano comparve nel 1001 come castello e fu pieve anche per Gorizia fino ai 1460 circa: la sua giurisdizione era molto estesa comprendendo anche gli abitati da S. Andrea alla Bainsizza e da S. Mauro a Tribussa Superiore. Fin dal XIII secolo Salcano disponeva d’un vicario per Gorizia: l’importanza di Gorizia quale capitale della contea portò dapprima a parlare di una plebs de Goritia (dal 1247) e di un pievano di Gorizia riferendosi però a Salcano. Ancora nel 1453 la plebs de Salcan è detta alias Goricia, sicché infine, con certezza dal 1460, la pieve istituita a Gorizia finì per comprendere anche quella di Salcano.
Il Seicento goriziano
Il ‘600 fu per Gorizia un “secolo d’oro” da un punto di vista non solo ecclesiastico ma anche culturale, per l’arrivo in città di molti ordini religiosi. Tra essi, Cappuccini (la cui chiesa con annesso convento fa attualmente parte della parrocchia del Duomo), Gesuiti (che avrebbero poi creato la seconda parrocchia cittadina, quella di Sant’Ignazio, nel 1785), Carmelitani, Clarisse, Orsoline (la cui scuola, assieme al convento, è ancora attiva). A tali ordini è dovuta anche l’espansione del nucleo urbano, con la nascita di nuovi quartieri e l’edificazione di vari edifici di culto. Anche la chiesa dei Ss. Ilario e Taziano beneficiò del fermento di questo periodo: Gorizia aveva allora circa duemila case e settemila abitanti, per cui si cominciava a sentire l’esigenza di un edificio di culto più grande.
La trasformazione del Duomo
Tra il 1682 e il 1702 il Duomo fu trasformato profondamente nella propria architettura e negli altari: la risistemazione radicale della chiesa comportò l’aggiunta alla navata centrale e alle tre cappelle terminali unite assieme nel XVI secolo, delle due navate navate laterali divise da colonne con archi a tutto sesto. Il soffitto fu affrescato da Giulio Quaglio con una spettacolare Gloria celeste, che si estendeva fino all’arco santo su cui erano raffigurate le virtù teologali (rimase visibile fino alla prima guerra mondiale, in seguito alla quale fu distrutto). Vi correva inoltre una scritta che ribadiva che «a questo sacro edificio, ampliato sui due lati con le offerte dei devoti, il parroco e arcidiacono di Gorizia Giovanni Battista Crisai aggiunse il decoro della gloria celeste dipinta da mano esperta nell’anno 1702». L’antico presbiterio si trovò così a contrastare nelle sue scure forme gotiche delimitate dall’arco santo del 1526 con il nuovo, luminoso barocco dell’aula, arricchita anche dai matronei con archi ribassati e da un numero crescente di altari laterali. Anche le gallerie ospitavano quattro altari (eliminati con la ricostruzione della chiesa terminata nel 1929) oltre a una Via Crucis del Paroli (in seguito vi furono collocati i busti degli arcivescovi Luschin e Gollmayr con le relative epigrafi, salvati nella demolizione della cappella del cimitero).
Il Settecento
Il XVIII secolo si aprì con la chiesa dei Ss. Ilario e Taziano rinnovata e ingrandita. Nel contrasto tra le navate e il presbiterio si coglie la complessità della cultura di Gorizia, la cui arte e costumi risentivano degli influssi di Venezia e del Friuli, ma anche di Vienna e dell’Austria: il rigore tedesco si fonde e smorza in strutture veneziane. Nel 1705 Giovanni Pacassi realizzò l’altare maggiore nella forma attuale, con le statue dei santi Ilario e Taziano opera di Pietro Baratta Nel 1711, per incarico della nobiltà goriziana, fu eseguito da De Puttis il pulpito sorretto da un angelo-telamone. Nel 1765 fu fatto realizzare un nuovo organo e fu costruita una nuova cantoria su progetto di Michele Bon, ma si ha notizia della presenza di organisti della chiesa di S. Ilario fin dal 1544. Al 1778 risale la grande meridiana eseguita da Giuseppe Barzellini, collocata sul lato meridionale del duomo, sotto una nicchia con una cornice scolpita che custodisce un angelo quattrocentesco.
Le Confraternite
Alla parrocchia di S. Ilario facevano riferimento anche le confraternite, associazioni con caratteri e funzioni corporative e assistenziali: tra le più antiche si ricordano quelle di S. Maria (1382), degli artesani (pellicciai, sarti e calzolai, il cui statuto fu approvato nel 1455 e dedicatari dell’altare dell’Annunciazione), del Ss. Sacramento (1486-98). L’altare ora dedicato a S. Teresa in origine era chiamato Delle Anime, perchè fungeva da cappella dell’omonima Confraternita, mentre quello di S. Giuseppe, eretto nel 1713 dalle famiglie Antonelli de Gonzales e De Gratia, era affidato alla Confraternita dei muratori e dei falegnami. Quello che ora ospita la pala di Fulvio Monai di S. Francesco d’Assisi fu fatto edificare dalla confraternita dei Fratelli della dottrina cristiana (formata nel 1705) e quello, oggi della Santissima Trinità, con lo stemma degli Orzone, era collegato alla corporazione dei fabbri, maniscalchi, orologiai e carrozzieri. Le confraternite scomparvero verso il 1788, soppresse dall’imperatore Giuseppe II nell’ambito delle sue riforme, con le quali chiuse anche i monasteri considerati “inutili”. A tali riforme si oppose l’arcivescovo Rodolfo Edling, ma pagò la sua intromissione con l’esilio. La contea di Gorizia era infatti divenuta parte dei possessi degli Asburgo dal 1500, anno di morte del conte Leonardo senza eredi, secondo accordi del 1420 del conte Enrico IV. La famiglia imperiale era da secoli legata a quelle dei conti goriziani, ma se tanti furono i privilegi concessi dall’imperatrice Maria Teresa soprattutto alla neo istituita arcidiocesi goriziana, tante furono le limitazioni imposte dal figlio Giuseppe.
I nuovi altari
Molte Confraternite, assieme a famiglie nobiliari goriziane, avevano voluto dedicare altari all’interno della chiesa di S. Ilario. Già a fine ‘500 la chiesa era dotata di nove altari: oltre al maggiore (consacrato nel 1593), quelli dei Santi Anna, Acazio, Maria Maddalena (conti Rabatta), Beata Vergine del Buon Consiglio o Ausiliatrice, Fabiano e Sebastiano (famiglia Orzone), Trinità (de Castro), Croce (Torriani) e Corpus Domini (Confraternita del Sacramento). Nel ‘700 ce n’erano sedici al piano inferiore, ed altri quattro nelle gallerie (con i restauri dopo la Prima Guerra Mondiale si sono ridotti a dodici in tutto, solo al piano inferiore), quasi tutti a mensa, armonizzati in un barocco goriziano, di botteghe di maestri spesso imparentati tra loro, come i Pacassi, i Lazzarini e gli Zuliani. L’altare presente nella Cappella del Santissimo (allora cappella delle Reliquie) fu donato dalla famiglia Codelli di Mossa in occasione della nomina di Arcivescovo di Carlo Michele d’Attems nel 1752. Tanti altari rispondevano anche ad un’esigenza liturgica: essendo presenti in Cattedrale diversi sacerdoti e canonici, ogni sacerdote vi celebrava separatamente la propria S. Messa (fino al Concilio Vaticano II, che istituì la concelebrazione).
La nascita dell’Arcidiocesi
Il 1751 fu un anno storico, perché vide la soppressione del Patriarcato di Aquileia. Grazie all’interessamento dell’allora Pontefice Benedetto XIV, nel 1752 fu istituita l’arcidiocesi di Gorizia, figlia ed erede del patriarcato, il che fece acquisire alla città grande prestigio. Gorizia, già da sei secoli capitale di una contea di livello europeo, vide crescere la sua autorità andando a comprendere amplissime terre ed ereditando i compiti e il ruolo di Aquileia, benché Gorizia fosse stata dei conti di Pusteria, Lienz e Lurn i quali, pur essendo avvocati della Chiesa, non intrattenevano buoni rapporti con il patriarcato. Chiesa cattedrale metropolitana fu da subito quella dei Santi Ilario e Taziano, visitata da Papa Pio VI il 15 marzo 1782. Tra il 1788 e il 1791 l’arcidiocesi di Gorizia fu temporaneamente soppressa e sostituita con una effimera di Gradisca.
Il primo Arcivescovo
Primo arcivescovo della diocesi, che si estendeva da Cortina d’Ampezzo alla Stiria, dalla Carinzia al Friuli orientale, fu Carlo Michele d’Attems (1752-1774). Riorganizzò la vita religiosa e promosse nuove costruzioni. Ampliò la Cappella delle Reliquie (oggi del Santissimo) per accogliere in grandi armadi oltre una robusta cancellata, il tesoro della cattedrale, che comprendeva i tre busti lignei dorati di Ilario, Taziano e Stefano (a cui era intitolata la parrocchiale di Salcano) e due teche-reliquiari, di cui una con S. Andrea (patrono di Lienz), e si era arricchito di gran parte di quello di Aquileia (il resto andò a Udine) e dalle cospicue donazioni dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria, particolarmente legata all’Attems e degli Stati Provinciali. L’imperatrice nel 1772 concesse ai quattro canonici della basilica di Aquileia la croce d’oro con catena, mentre ai sei vicari corali spettarono le medaglie. Gli stalli del coro presentavano gli stemmi dell’arcidiocesi, delle chiese suffraganee (Parenzo, Lubiana, Trieste, Veglia) e del Capitolo teresiano, accolto dalla cattedrale metropolitana.
L’Ottocento
Dopo la parentesi della dominazione francese tra il 1809 ed il 1813, Gorizia era tornata agli Asburgo. Nel 1830 fu ufficialmente sancita la ricostituzione della diocesi «di Gorizia, ossia di Gradisca» con il ripristino dell’autorità metropolitica e della dignità del capitolo da parte di Pio VIII. Per il Duomo venne definitivamente confermata la funzione e l’intitolazione ai Ss. Ilario e Taziano. La grande pala d’altare di Giuseppe Tominz presenta appunto i due santi (vestiti con i paramenti donati dall’imperatrice Maria Teresa) con S. Carlo al cospetto dell’Assunta, circondati da angeli e con un panorama goriziano visibile da uno squarcio delle nubi. Dipinta attorno al 1820-1821, la tela giunse in Duomo nel 1823 ma fu definitivamente sistemata sopra l’altare maggiore negli anni ’20 del ‘900. Nella seconda metà dell’800 seguirono vari interventi nella cattedrale, con la soppressione di altari e il cambiamento di pale e dedicazioni. Le tele di G. Battig con S. Giuseppe, il Bambino Gesù e un angioletto e con la Santissima Trinità sono degli anni 40 dell’‘800. Nel 1865 il cupolino secentesco del campanile fu sostituito con una cuspide piramidale su modello aquileiese o veneto (negli anni ‘20 del ‘900 la cella campanaria fu rifatta con le bifore al posto delle aperture centinate), e la cappella delle Reliquie, ampliata nel 1756 dall’arcivescovo d’Attems, fu accorciata per facilitare il traffico sull’attuale via Marconi, e trasformata in una specie di atrio dell’odierna cappella del Santissimo.
Il Novecento
Durante la Grande Guerra, dal 1915 al 1917 Gorizia fu colpita duramente. Il Duomo fu pesantemente danneggiato, e la stessa ricostruzione postbellica, i cui progetti furono elaborati nel 1924, alterò l’edificio originario. Dopo alcuni anni di lavori, il governo fascista volle inaugurare nel 1928 il Duomo rinnovato ponendo all’esterno (in corrispondenza della Cappella del Santissimo) l’epigrafe che lo ricorda, ma l’inaugurazione ufficiale con la consacrazione dell’altare del Santissimo fu nel 1929.
La ricostruzione
Al sommo dell’arco santo, si legge: Bello eversum funditus renovatum – MCMXXVIII («distrutto dalla guerra, rinnovato dalle fondamenta – 1928»). Negli spicchi della volta del presbiterio ci sono quattordici figure di angeli con i simboli della Passione e strumenti musicali, opera del pittore gemonese Enrico Miani, mentre i dossali del rivestimento ligneo del coro dei canonici, allestito dopo il primo conflitto mondiale, furono eseguiti da Giuseppe Bernardis e rappresentano la preghiera del Padre Nostro. Nel 1929 fu collocato sull’altare secentesco originariamente dedicato al SS. Nome di Gesù, la pala di S. Teresa di Gesù Bambino della pittrice goriziana Emma Galli, come pure la pala dell’altare del Sacro Cuore.
Il secondo dopoguerra
Dopo la guerra, il presbiterio fu allungato verso la navata, e alla fine degli anni ‘70 fu adeguato alle nuove prescrizioni liturgiche con l’aggiunta dell’altare coram populo e dell’ambone di G. Riavis. Sulla balaustra, parzialmente nuova, sono collocate due sante del gruppo delle quattro cosiddette martiri aquileiesi (Eufemia, Tecla, Dorotea, Erasma) che fino al 1915 si trovavano sull’altare cinquecentesco, dedicato alla Beata Vergine del Soccorso o del Buon Consiglio, che si trovava sulla sinistra dell’arco santo. Sull’altare che stava sulla destra (S. Maria Maddalena, poi S. Luigi) c’erano invece i due angeli ora sopra le pile per l’acqua santa degli ingressi laterali. Le tele di entrambi questi altari sono state spostate nella chiesa di Santo Spirito. Nel 1956 un furto vandalico fece perdere quasi tutto il corredo liturgico lasciato dai Borboni di Francia e i busti-reliquiari aquileiesi di S. Ermagora e di S. Felicita, in seguito ricostruiti non del tutto puntualmente. L’inferriata che custodiva il tesoro fu eliminata con la più recente ristrutturazione del Duomo, nel 1983, quando la cappella del Santissimo assunse l’attuale disposizione e funzione.
La cripta degli Arcivescovi
Attraverso la scala che si apre nella cappella di Sant’Acazio, si accede alla cripta che accoglie le spoglie di numerosi Arcivescovi di Gorizia, il cui elenco è scolpito sulle due lastre di marmo nero ai lati della porta d’ingresso del Duomo.
La cripta presenta volte ribassate di mattoni sottili, secondo una tecnica diffusa nel Goriziano dal ’400 al ’600. Le lastre di marmo nero alle pareti della cripta recano i nomi degli Arcivescovi qui sepolti:
R.G. Edling (+1803),
F.F. Inzaghi (+1816),
G. Walland (+1834),
F.S. Luschin (+1854),
A. Gollmayr (+1883),
L.M. Zorn (+1897),
A. Jordan (+1906),
G.G. Ambrosi (+1965)
P. Cocolin (+1982),
A.V. Bommarco (+2004).
Alla parete sono riportati anche i nomi degli Arcivescovi che riposano altrove:
C.M. Attems (+1774) i cui resti non sono stati più rinvenuti;
G. Missia (+1902) che riposa nel Santuario di Monte Santo;
F.B. Sedej (+1931) sepolto a Monte Santo;
C. Margotti (+1951) nella chiesa del Sacro Cuore.
Tratto dalle edizione del precedente sito della Cattedrale.
Le note sono della signora Ilaria Tassini e del prof. Sergio Tavano